CORTE DEI CONTI 
           sezione giurisdizionale regionale per il Lazio 
 
    in  persona  del  giudice  monocratico   Eugenio   Musumeci,   ha
pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto
al n. 76115 del registro di segreteria  della  Sezione,  proposto  da
Salleo Ferdinando, nato a Messina il 2 ottobre  1936  e  residente  a
Roma in via Luigi Luciani n.  42,  codice  fiscale  SLLFDN36R02F158D,
rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Vittoria Ferroni e  Laura
Casella  (entrambi  del  foro   di   Roma),   nonche'   elettivamente
domiciliato a Roma in via di San Basilio n. 61 presso lo  studio  del
primo di tali difensori; 
    Contro  Ministero  degli  Affari  Esteri  e  della   Cooperazione
Internazionale  (MAECI),  in  persona  del  Ministro   pro   tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  nonche'
domiciliato presso la sede dell'Avvocatura stessa a Roma in  via  dei
Portoghesi n. 12. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con ricorso depositato presso questa Sezione l'8  maggio  2018
Ferdinando Salleo, funzionario diplomatico collocato a riposo  il  25
febbraio 2003 con il grado di ambasciatore dopo aver svolto  l'ultimo
periodo di  servizio  presso  una  sede  diplomatica  all'estero,  ha
domandato  ai  fini  pensionistici   un   piu'   favorevole   computo
dell'indennita' di posizione connessa a quel rapporto  d'impiego.  In
particolare,  secondo  la  prospettazione  attorea,  quell'indennita'
andrebbe riconosciuta dal  Ministero  degli  Affari  Esteri  e  della
Cooperazione Internazionale (in sigla: MAECI)  nella  maggior  misura
spettante al "... personale di pari grado e funzioni in  servizio  in
Italia" (cosi' le conclusioni del ricorso introduttivo): cioe' avendo
riguardo alla posizione  funzionale  di  rango  piu'  elevato  o,  in
subordine, a quella di minor rango da attribuirsi ad  un  funzionario
diplomatico avente il grado di ambasciatore che presti servizio nella
sede centrale di quel  Ministero;  o  ancora,  in  via  ulteriormente
subordinata,   nella   medesima   misura   concretamente    percepita
dall'odierno ricorrente durante la sua pregressa assegnazione  presso
l'Amministrazione centrale antecedente a quella, in sede estera,  che
aveva caratterizzato il suo conclusivo periodo di servizio. 
    Riguardo a tale domanda, proposta  nel  contraddittorio  sia  del
MAECI  che  dell'INPS  entrambi  costituitisi,   con   sentenza   non
definitiva n. 654/2019,  pronunciata  contestualmente  alla  presente
ordinanza e da intendersi  qui  integralmente  richiamata,  e'  stata
rigettata una preliminare eccezione di decadenza sollevata dal  MAECI
ai sensi dell'art. 47 del D.P.R. n. 639/1970; ed  e'  stato  altresi'
dichiarato ex officio il difetto di legittimazione passiva  dell'INPS
sulla pretesa attorea. Inoltre, con la presente ordinanza,  l'odierno
giudizio e' stato vagliato nel merito. 
 
                               Diritto 
 
    2. Nella materia delle pensioni  a  carico  dello  Stato  riveste
carattere fondamentale il principio di cui al primo  comma  dell'art.
43 del D.P.R. n.  1092/1973:  a  mente  del  quale,  "ai  fini  della
determinazione  della  misura  del  trattamento  di  quiescenza   dei
dipendenti  civili,   la   base   pensionabile   ...[e']   costituita
dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione ...".  Quindi
tale norma rende necessario individuare, concettualmente prima ancora
che materialmente, il trattamento retributivo nell'esatto momento  in
cui si concluda un dato rapporto d'impiego. 
    3. Peraltro sul  piano  retributivo,  con  riguardo  al  caso  di
specie, il primo comma dell'art. 170 del D.P.R. n.  18/1967  sancisce
che "il personale dell'Amministrazione  degli  affari  esteri,  oltre
allo stipendio e agli  assegni  di  carattere  fisso  e  continuativo
previsti   per   l'interno,   compresa   l'eventuale   indennita'   o
retribuzione  di  posizione  nella  misura  minima   prevista   dalle
disposizioni  applicabili,  tranne   che   per   tali   assegni   sia
diversamente disposto, percepisce, quando e' in  servizio  presso  le
rappresentanze  diplomatiche  e  gli  uffici   consolari   di   prima
categoria, l'indennita' di  servizio  all'estero,  stabilita  per  il
posto di organico che occupa ...". 
    Tuttavia  si  vedra'  in  prosieguo  come   quella   che,   nella
fattispecie, il MAECI ha computato ai fini pensionistici non coincida
con la retribuzione dell'ultimo periodo di servizio svolto all'estero
dall'odierno ricorrente. Soprattutto, pero', tale operato  del  MAECI
stesso sottende un concetto di "ultima retribuzione" che comporta una
palese sperequazione tra funzionari  diplomatici  di  pari  grado:  i
quali invece, nell'esatto  momento  in  cui  cessano  dal  rispettivo
servizio, concettualmente devono veder pienamente equiparato tra loro
il trattamento retributivo e, quindi, quello pensionistico.  Infatti,
allo spirare del rapporto  d'impiego,  ovviamente  perde  rilievo  la
pregressa  circostanza  secondo  cui  l'un  funzionario   diplomatico
risultasse assegnato presso la sede centrale  del  MAECI  e  l'altro,
invece, ad un qualsiasi ufficio all'estero. 
    4.   Invero   l'indennita'   di    posizione    e'    determinata
contrattualmente con riguardo  alle  funzioni  rivestite  da  ciascun
appartenente  alla  carriera  diplomatica:  le  quali  sono  altresi'
connesse al grado rivestito da quel medesimo soggetto  ai  sensi  del
secondo comma dell'art. 101 del gia' richiamato  D.P.R.  n.  18/1967,
ferma restando l'unitarieta' del ruolo sancita  dal  primo  comma  di
quel medesimo articolo. 
    Nel caso  di  specie  nel  1994  il  Salleo  era  stato  nominato
segretario generale del MAECI; mentre  l'anno  successivo  gli  erano
state conferite le funzioni di capo della rappresentanza  diplomatica
a Washington, da lui poi svolte sino alla data del 25  febbraio  2003
in cui era stato collocato a riposo (pagg. 2 e 3 del  ricorso,  senza
contestazioni del MAECI). 
    Quindi, in  riferimento  al  grado  da  lui  rivestito  a  quella
medesima data, e' agevole identificare, tra le funzioni da  svolgersi
presso l'amministrazione centrale ex art. 16 del  D.P.R.  n.  18/1967
nel testo vigente alla data di  collocamento  a  riposo  dell'odierno
ricorrente, quelle piu' elevate  e  quelle  meno  rilevanti.  E  tali
funzioni, in virtu' dell'art.  5  comma  2  del  D.P.R.  n.  144/2003
recante il trattamento economico del personale diplomatico  a  quella
medesima data di collocamento a riposo dell'odierno ricorrente, anche
nell'ipotesi a lui meno favorevole avrebbero comportato il ripristino
di un'indennita' di  posizione  di  entita'  maggiore  rispetto  alla
misura minima attribuitagli durante il progresso servizio all'estero. 
    5.  Reputa  questo  giudice  che  tale  rilevante   sperequazione
concettuale,  prima  ancora  che  quantitativa,  tra  un  funzionario
diplomatico che abbia svolto a Roma  l'ultima  tranche  del  servizio
presso il MAECI ed uno che, invece, abbia lavorato in una sede estera
durante quel medesimo segmento temporale,  non  sia  concepibile  che
permanga nel momento in cui cessino le funzioni esercitate, in Italia
o all'estero, da qualsiasi appartenente  alla  carriera  diplomatica:
ossia allorquando questi conserva esclusivamente il grado rivestito. 
    Invero  l'esclusivo  riferimento  al  grado  connota   anche   il
trattamento pensionistico del personale  militare:  i  cui  ufficiali
notoriamente non vengono collocati  a  riposo  con  la  qualifica  di
direttore dell'ufficio X presso iI Ministero della Difesa,  piuttosto
che di comandante della divisione Y; bensi',  semplicemente,  con  il
grado  p.es.  di  generale  di  corpo  d'armata  piuttosto   che   di
colonnello. Oltretutto e' assai frequente per essi la c.d. promozione
alla vigilia, la  quale  ha  riflessi  essenzialmente  pensionistici,
oltreche' in tema di indennita' di buonuscita;  mentre  nel  caso  di
specie si  assiste  ad  un  fenomeno  diametralmente  inverso,  ossia
l'ancoraggio della pensione ad un trattamento retributivo  fatalmente
transitorio,  vista  l'inevitabile  altalenanza  tra  svolgimento  di
funzioni all'estero o  invece  in  sede  centrale,  anziche'  ad  una
costante remunerazione normale  pertinente  esclusivamente  al  grado
rivestito. 
    6. Sul piano letterale appare poi evidente come la misura normale
dell'indennita'  di  posizione  coincida  con   quella   goduta   dal
funzionario diplomatico che presti servizio in Italia. Depone in  tal
senso sia il primo comma del gia' richiamato art.  170,  laddove  nel
caso di servizio all'estero quell'indennita' si  considera  spettante
nella "... misura minima  ...",  anziche'  in  quella  base;  sia  la
normativa di matrice negoziale, tra cui p.es. il gia' menzionato art.
5 comma 2 del D.P.R. n. 144/2003: che, per il funzionario diplomatico
che  presti  servizio  in  Italia,  richiama  "...  le  misure  della
retribuzione di posizione ..."  senza  aggettivi  di  sorta.  Talche'
logica vuole che, nel momento in cui le funzioni  all'estero  cessano
in virtu' del collocamento a riposo, l'indennita' di posizione  venga
automaticamente ripristinata, sia pur ai soli fini del trattamento di
quiescenza, nella misura ordinariamente pertinente al grado posseduto
da quel dato funzionario diplomatico; nonche' alle funzioni  che,  in
base al grado  stesso,  sarebbero  state  a  lui  conferibili  presso
l'Amministrazione centrale, ove fosse rimasto in servizio. 
    7. Inoltre la tesi secondo cui il menzionato art. 170 del  D.P.R.
n. 18/1967 consentirebbe di ripristinare, ai fini  pensionistici,  la
misura "italiana" dell'indennita' di posizione appare  indirettamente
confortata dalla lettera a del comma 1 dell'art. 1-bis  del  D.L.  n.
138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011: che va ad  interpretare
in via autentica  l'art.  170  stesso  nel  senso  di  escludere  che
l'indennita' integrativa speciale spetti al dipendente del MAECI  che
presti servizio all'estero. 
    Infatti,  non  essendo  stato  contestato  ex  adverso  l'assunto
attoreo  secondo  cui  quest'ultima   indennita'   risulti   comunque
computata ai fini pensionistici (pag. 12 del  ricorso  introduttivo),
evidentemente cio' avviene  perche'  il  combinato  disposto  tra  il
principio generale di cui all'art. 43 del D.P.R. n.  1092/1973  e  la
norma di dettaglio di cui al predetto art. 170  viene  applicato  dal
MAECI  in  maniera  antitetico  rispetto   a   quanto   avviene   per
l'indennita' di posizione. Percio' appare conforme  al  principio  di
eguaglianza sostanziale la conseguenza secondo cui pure  quest'ultima
componente retributiva torni coerentemente ad espandersi alla  misura
normale, in concomitanza con il collocamento a riposo del funzionario
diplomatico, rispetto alla misura minima a lui applicata  durante  il
servizio all'estero. 
    8. Invece, ad avviso del MAECI, il primo  comma  del  piu'  volte
richiamato art. 170 del D.P.R. n. 18/1967 legittimerebbe il  computo,
nel trattamento pensionistico, del medesimo importo di indennita'  di
posizione fruito da ciascun funzionario diplomatico anteriormente  al
rispettivo  collocamento  a  riposo.  Ma  in   realta',   sul   piano
squisitamente  testuale,  quella  norma  ha  soltanto  l'effetto   di
limitare alla misura minima il quantum dell'indennita'  di  posizione
spettante al funzionario  diplomatico  fintantoche'  presti  servizio
all'estero. 
    Destituita  di  fondamento  e'  anche  la  tesi  secondo  cui  la
sperequazione pensionistica in commento risulterebbe controbilanciata
dalla percezione dell'indennita' di servizio  all'estero:  la  quale,
invece,  e'  circoscritta  esclusivamente  al  periodo  in   cui   il
funzionario diplomatico  presti  servizio  presso  una  sede  estera;
mentre e' rimasta totalmente indimostrata  la  contraria  allegazione
del MAECI secondo cui quest'ultima indennita' verrebbe conservata nel
trattamento di quiescenza. In realta' quella P.A. sembra aver operato
un'evidente  commistione  fra  la  parziale   imponibilita'   fiscale
dell'indennita' de qua, sancita dal comma 8 dell'art. 51  del  D.P.R.
n. 917/1986, ed il suo inesistente  computo  ai  fini  pensionistici.
D'altronde  la  conclusione  secondo  cui  a  detti  fini  non  venga
computata  l'indennita'  di  servizio   all'estero   discende   dalla
circostanza secondo cui essa "... non ha natura  retributiva  essendo
destinata a sopperire agli oneri derivanti  dal  servizio  all'estero
...", oltre a tener "... conto della peculiarita'  della  prestazione
lavorativa all'estero ..."  (art.  171  primo  comma  del  D.P.R.  n.
18/1967). E va da se'  come,  altrimenti,  assurdamente  le  funzioni
diplomatiche  svolte  dall'odierno  ricorrente  si   considererebbero
protratte oltre la data di collocamento a riposo. 
    Palesemente fallace e'  altresi'  la  vaga  obiezione  del  MAECI
secondo cui, nel caso di specie, l'eventuale computo  dell'indennita'
di posizione in  misura  eccedente  quella  minima  non  risulterebbe
preceduto  da  alcuna  contribuzione  previdenziale:   in   contrario
bastando considerare l'eventualita' in cui l'odierno  ricorrente,  al
pari di  qualsiasi  altro  suo  collega,  fosse  tornato  a  prestare
servizio a Roma p.es.  un  mese  prima  del  proprio  collocamento  a
riposo. Ne' il MAECI ha minimamente  chiarito  quanto  ampio  dovesse
essere nel caso di specie lo iato temporale, tra il rientro presso la
sede centrale e quel collocamento a riposo, perche'  l'indennita'  di
posizione venisse concretamente computata ai  fini  pensionistici  in
misura maggiore di quella minima. 
    9. In virtu'  delle  molteplici  considerazioni  fin  qui  svolte
questo giudice, in una precedente pronuncia resa su  una  fattispecie
identica a quella per cui e' lite  (sezione  Lombardia,  sentenza  n.
53/2016, ripetutamente invocata anche dall'odierno  ricorrente),  era
pervenuto  ad  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  del
primo comma dell'art. 170 del D.P.R. n. 18/1967:  reputando,  dunque,
che la misura  minima  ivi  sancita  per  l'indennita'  di  posizione
valesse esclusivamente durante il periodo di servizio all'estero  del
personale diplomatico. E che, invece,  il  trattamento  pensionistico
andasse determinato sulla base della fictio iuris  costituita  da  un
rientro a Roma del diplomatico stesso esattamente in coincidenza  con
il suo collocamento a riposo: con conseguente attribuzione,  ai  soli
fini pensionistici, del complessivo trattamento economico a cui  egli
avrebbe avuto diritto prestando servizio, a  quella  medesima  epoca,
presso la sede centrale. 
    Tuttavia tale linea interpretativa appare  oggi  frustrata  dagli
unici due precedenti giurisprudenziali che, a causa di dubbi in  tema
di giurisdizione inizialmente nutriti dal  giudice  contabile  e  poi
fugati dalla Suprema Corte grazie alle ordinanze nn.  14795  e  14796
emesse nel 2016, appaiono rinvenibili in punto di  merito:  ossia  la
sentenza n. 112/2017 della Seconda sezione  giurisdizionale  centrale
d'appello, mediante la quale  e'  stata  integralmente  riformata  la
poc'anzi richiamata pronuncia n° 53/2016, e la sentenza  n.  244/2015
di questa Sezione. In ambedue tali decisioni il  rigetto  di  domande
analoghe a quella odierna e' stato motivato con un laconico  richiamo
alla normativa generale, a cominciare  dall'art.  43  del  D.P.R.  n.
1092/1973: norma che pero' ai fini  pensionistici,  se  non  osta  al
computo dell'indennita' integrativa  speciale  seppur  non  percepita
durante il servizio all'estero, men  che  meno  puo'  precludere,  al
funzionario diplomatico che fino al rispettivo collocamento a  riposo
abbia lavorato all'estero, il computo  dell'indennita'  di  posizione
nell'identica misura  prevista  per  un  collega  che,  fino  a  quel
medesimo momento, abbia invece prestato servizio  a  Roma  presso  la
sede centrale del MAECI. 
    Nondimeno  deve  qui  prendersi   atto   di   tale   orientamento
giurisprudenziale,  anche  perche'  affermato  in  grado   d'appello.
Percio'  risulta  inevitabile  sollevare  dinanzi  alla  Consulta  la
questione di legittimita' costituzionale del combinato  disposto  del
primo comma dell'art. 43 del D.P.R. n. 1092/1973 e dell'art. 170  del
D.P.R. n. 18/1967, per contrasto con il  secondo  comma  dell'art.  3
della Costituzione: perche'  nel  loro  insieme  tali  norme  vengono
interpretate dalla giurisprudenza contabile nel  senso  di  prevedere
che,  nei  confronti  del   soggetto   appartenente   alla   carriera
diplomatica il quale alla  data  di  collocamento  a  riposo  risulti
assegnato ad una sede di servizio all'estero, ai  fini  pensionistici
l'indennita' di posizione venga computata soltanto nella "...  misura
minima prevista dalle  disposizioni  applicabili  ...",  anziche'  in
misura correlata al grado rivestito da quel medesimo soggetto e  alle
funzioni a lui conferibili avuto riguardo al grado stesso. 
    10. Inoltre quel medesimo combinato disposto di tali  due  norme,
sempre nell'accezione attribuita  ad  esso  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte,  sembra  collidere  anche  con  il  principio  di  buon
andamento sancito dal secondo comma dell'art. 97 della Costituzione. 
    Invero la linea interpretativa qui censurata puo'  verosimilmente
indurre un dato funzionario diplomatico, qualora gli venga comunicata
l'assegnazione ad una sede estera allorquando abbia gia'  maturato  i
requisiti  pensionistici,  ad  optare  per   il   proprio   immediato
collocamento a riposo: cio' al fine di  veder  calcolate  secondo  la
misura normale dell'indennita' di posizione tanto la pensione  quanto
la buonuscita, piuttosto che rischiare di veder penalizzate  entrambe
nel caso in cui  quella  sede  estera  si  rivelasse  l'ultima  della
propria carriera. Inoltre, quand'anche quel  funzionario  diplomatico
decidesse  di  permanere  in   servizio   presso   la   sede   estera
assegnatagli, l'interpretazione qui avversata  rivestirebbe  comunque
conseguenze  contrastanti  con  quel  medesimo  principio   di   buon
andamento: atteso che, avuto riguardo al limite massimo di permanenza
in servizio, verrebbe radicato in lui un indubbio interesse personale
a  rientrare  in  sede  centrale  anteriormente  a  quella  data,  in
potenziale contrasto con l'incondizionata  protrazione  del  servizio
all'estero. 
    11. Cosi' evidenziata la non manifesta infondatezza della duplice
questione di legittimita' costituzionale fin qui prospettata, la  sua
rilevanza risulta  palese;  perche',  altrimenti,  l'odierna  domanda
attorea andrebbe senz'altro rigettata: al pari di quanto avvenuto nel
caso  dei  precedenti  giurisprudenziali   poc'anzi   richiamati   ed
avversati. 
    Mentre soltanto la fondatezza  della  questione  stessa  potrebbe
rendere  accoglibile  quella  domanda,   nella   sua   prospettazione
principale o in una di quelle subordinate, dopo aver  vagliato  anche
la non assorbente eccezione di prescrizione.